Compositore e direttore d'orchestra. Compì studi musicali precoci ma irregolari, che lo portarono ad avvicinare Malipiero e Scherchen, dalla cui lezione derivarono i due poli, solo apparentemente contrastanti, della sua parabola artistica: l'amore per i classici e l'apertura senza dogmatismi all'avventura della musica moderna.?Già presente a Darmstadt nel 1949, fu tra i primi in Italia ad accostarsi al serialismo postweberniano, assimilandolo in forme empiriche ed eterodosse che non mancarono di influenzare i più giovani colleghi Nono e Berio.?Nacquero in quegli anni, racchiuse fra un Concerto per due pianoforti e strumenti di sapore bartokiano (1948) e un Quartetto per archi seriale (1955), la Composizione n. 2 per orchestra, che esibisce al suo interno grotteschi spunti di valzer e di rumba (1950), e la Serenata per 11 strumenti (1954), la prima di una serie di «serenate» a cui M. affiderà la sua vena più estrosa (una Serenata II per 13 strumenti seguirà nel 1957).?Il gusto dell'invenzione e della concretezza delle immagini sonore emerge anche nei lavori elettronici composti fra il 1955 e il '62 presso lo Studio di Fonologia della rai di Milano, da lui fondato con Berio (Notturno, 1955; Continuo, 1958; Serenata III, 1961): alieno da forme di «purismo» tecnologico, M. fu tra i primi a immaginare una fusione fra suoni sintetici ed esecuzioni dal vivo in Musica su due dimensioni, un lavoro per flauto e nastro magnetico già abbozzato nel 1952 e poi più volte ripreso in diverse versioni.?Dopo la sperimentazione sulle strutture e sul timbro, gli anni Sessanta segnarono una svolta, rappresentata dalla «scoperta» della dimensione interpretativa, che M. associò sempre alla prassi solistica e a una discorsività lineare.?Sono di questo periodo l'opera radiofonica Don Perlimplin (da G.?Lorca, 1962) e i capolavori propiziati da virtuosi come S.?Gazzelloni (flauto) e L.?Faber (oboe): Honeyrêves per flauto e pianoforte (1961), i tre splendidi Concerti per oboe e orchestra (1962-73), l'Aulodia per Lothar per oboe d'amore e chitarra (1965), la Grande aulodia per flauto; oboe e orchestra (1970).?Vi emerge una nostalgia arcaica di canto, di un canto inteso non come simulacro neoclassico, ma come forma primigenia di comunicazione musicale; nell'azione scenica Hyperion ispirata a Hölderlin (1964-69, in svariate versioni e combinazioni) esso si farà simbolo della solitudine umana, della purezza espressiva contrapposta alle tensioni ribollenti della materia sonora. Accanto alla composizione M. si dedicava intanto a un'assidua attività di direttore d'orchestra, soprattutto nel repertorio contemporaneo; e sarà l'abitudine dell'interprete a scorgere nelle note sempre il risultato concreto che lo porterà ad assimilare l'esperienza aleatoria lontano dalle sottigliezze teoriche di Pousseur o Boulez, essenzialmente come un modo per restituire la struttura musicale alla sua natura di evento sonoro, di volta in volta irripetibile nel flusso del tempo.?In questo senso vanno intese le sezioni ad libitum (peraltro circoscritte) presenti nei grandi lavori orchestrali a cavallo degli anni '60/70 (Quadrivium, 1969; Juilliard Serenade, 1971; Ausstrahlung per voce, flauto, oboe, orchestra e nastro), nel Concerto per violino (1969) e nello spasso della Serenata per un satellite, per 7 strumenti (1969).?Seguiranno Pièce pour Ivry per violino, Solo per musette, oboe, oboe d'amore e corno inglese (1971), Giardino religioso per orchestra (1972); ma negli ultimi anni di vita il compositore fu soprattutto attratto dal teatro come luogo della commistione e del capovolgimento fra alto e basso, della celebrazione della follia in quanto antidoto alla cupa seriosità del mondo: si ricordano il radiodramma Ritratto di Erasmo (1970); Venetian Journal, quasi una cantata scenica per tenore e strumenti (da J. Boswell, 1972); l'operina buffa Satyricon (da Petronio, 1973).